Nella notte tra martedì 8 e mercoledì 9 novembre il mondo ha visto materializzarsi l’evento che nei precedenti diciotto mesi era stato avvertito solo come uno spauracchio: Donald Trump, il candidato alla Casa Bianca meno allineato con l’establishment della lunga storia democratica statunitense è stato eletto presidente.
Nei giorni precedenti le votazioni analisti, commentatori ed economisti si sono sperticati nel cercare di spiegare quale orribile reazione avrebbe avuto il mercato nell’eventualità in cui “l’impensabile” fosse diventato realtà! E in effetti il mercato ha ricevuto la notizia con un certo nervosismo. Subito dopo la notizia della vittoria di Trump alle elezioni presidenziali, le borse europee segnavano in apertura pesanti rossi – ben oltre il 2% – e Tokyo chiudeva a -5.5%. Ma con il passare delle ore e con l’apertura dei mercati in US un quadro completamente diverso ha cominciato ad apparire all’orizzonte: il mercato, molto pragmaticamente, ha velocemente messo da parte le implicazioni meno verificabili e più emozionali legate a questa elezione ed ha cominciato a prezzare ciò che Trump ha indicato come proprio programma durante la campagna elettorale.
Nei giorni precedenti le votazioni analisti, commentatori ed economisti si sono sperticati nel cercare di spiegare quale orribile reazione avrebbe avuto il mercato nell’eventualità in cui “l’impensabile” fosse diventato realtà! E in effetti il mercato ha ricevuto la notizia con un certo nervosismo. Subito dopo la notizia della vittoria di Trump alle elezioni presidenziali, le borse europee segnavano in apertura pesanti rossi – ben oltre il 2% – e Tokyo chiudeva a -5.5%. Ma con il passare delle ore e con l’apertura dei mercati in US un quadro completamente diverso ha cominciato ad apparire all’orizzonte: il mercato, molto pragmaticamente, ha velocemente messo da parte le implicazioni meno verificabili e più emozionali legate a questa elezione ed ha cominciato a prezzare ciò che Trump ha indicato come proprio programma durante la campagna elettorale.
Quali sono quindi i temi (Trump trades) su cui si è focalizzata l’attenzione degli operatori in questi primi giorni post elezione?
Innanzitutto si è registrato un notevole aumento dei tassi di rendimento dei titoli governativi americani che hanno trascinato con sé tutti i rates globali. Il mercato ha cominciato a vendere treasury perché il programma di Trump prevede un ampio utilizzo di deficit governativo per finanziare sia tagli delle tasse (flat tax al 15% per le imprese contro un tax rate medio di circa 35% attuale) sia un ambizioso programma di spesa infrastrutturale e militare. Una ricerca pubblicata sul sito Committee for Responsible Federal Budget (qui) ha stimato che l’amministrazione Trump potrebbe incrementare il debito pubblico americano nei prossimi 10 anni di più di 5 trilioni dagli attuali 14 trilioni di dollari. Questo incremento significativo implicherebbe una oversupply di treasury rispetto alla domanda attuale: i mercati hanno reagito di conseguenza portando il rendimento del decennale da 1.8% a 2.25% nel giro di una settimana. Ovviamente ci sono anche altri motivi dietro ad un movimento così violento, ma l’elezione di Trump è stato il motivo scatenante. E le conseguenze vanno ben oltre i confini americani.
Infatti l’innalzamento dei tassi US ha avuto un forte riverbero sui cambi, rafforzando il dollaro contro tutte le valute – specialmente quelle dei paesi emergenti in conseguenza dell’unwind del carry trade che era stato messo in piedi negli ultimi mesi. Ma le valute emergenti hanno sofferto anche per gli accesi toni protezionistici usati da Trump in campagna elettorale, che tradotti sul piano pratico significano meno scambi commerciali globali; quindi i primi a soffrire sarebbero proprio i paesi in via di sviluppo. Il secondo Trump trade è stato quindi vendere valute emergenti e il debito in dollari degli stessi paesi il cui spread creditizio è notevolmente incrementato nell’ultima settimana.
Dopo l’elezione di martedì scorso si è notata anche una forte rotazione settoriale nei mercati azionari: vincono le banche grazie al rialzo dei tassi e i settori della old economy grazie allo stimolo fiscale, mentre perdono i settori dello healthcare a causa delle promesse di smantellamento della politica sociale Obamiana e delle tecnologie, perché non potranno fare più ricorso a troppa ingegneria finanziaria a causa del rialzo del costo del debito.
Infine abbiamo due osservazioni: la prima è che il movimento è stato molto forte perché il mercato assegnava bassa probabilità al verificarsi dell’evento che poi si è materializzato (Trump neo presidente USA); la seconda è che, a meno di piccole eccezioni, apparentemente il mercato sta pressando in maniera “ordinata” e conseguente tutte le implicazioni di una futura amministrazione Trump. Per il momento siamo tuttavia ancora nel mondo probabilistico e occorrerà attendere la messa in pratica degli annunci per capire bene quale direzione prenderà l’economia che ancora oggi è la più importante al mondo.
Infatti l’innalzamento dei tassi US ha avuto un forte riverbero sui cambi, rafforzando il dollaro contro tutte le valute – specialmente quelle dei paesi emergenti in conseguenza dell’unwind del carry trade che era stato messo in piedi negli ultimi mesi. Ma le valute emergenti hanno sofferto anche per gli accesi toni protezionistici usati da Trump in campagna elettorale, che tradotti sul piano pratico significano meno scambi commerciali globali; quindi i primi a soffrire sarebbero proprio i paesi in via di sviluppo. Il secondo Trump trade è stato quindi vendere valute emergenti e il debito in dollari degli stessi paesi il cui spread creditizio è notevolmente incrementato nell’ultima settimana.
Dopo l’elezione di martedì scorso si è notata anche una forte rotazione settoriale nei mercati azionari: vincono le banche grazie al rialzo dei tassi e i settori della old economy grazie allo stimolo fiscale, mentre perdono i settori dello healthcare a causa delle promesse di smantellamento della politica sociale Obamiana e delle tecnologie, perché non potranno fare più ricorso a troppa ingegneria finanziaria a causa del rialzo del costo del debito.
Infine abbiamo due osservazioni: la prima è che il movimento è stato molto forte perché il mercato assegnava bassa probabilità al verificarsi dell’evento che poi si è materializzato (Trump neo presidente USA); la seconda è che, a meno di piccole eccezioni, apparentemente il mercato sta pressando in maniera “ordinata” e conseguente tutte le implicazioni di una futura amministrazione Trump. Per il momento siamo tuttavia ancora nel mondo probabilistico e occorrerà attendere la messa in pratica degli annunci per capire bene quale direzione prenderà l’economia che ancora oggi è la più importante al mondo.
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