Dopo la vittoria del fronte Brexit nel referendum in Gran Bretagna e la vittoria di Trump alle presidenziali USA, un altro evento politico sta per scuotere il mercato. La comunità finanziaria, ancora una volta, è unita tutta nel supportare il Sì alla riforma costituzionale Italiana: un supporto non tanto rilasciato nel merito della riforma, bensì alla prosecuzione della stabilità politica (uno dei primi pilastri fondamentali per la crescita economica). Sulla scia degli ultimi sondaggi rilasciati (chiaro vantaggio del No) – non ce ne saranno di nuovi fino alla data del referendum (4 dicembre) – gli operatori hanno riposizionato i propri portafogli vendendo o limitando il rischio Italia. La mano – visibile – della Banca Centrale Europea ha limitato tale impatto e mascherato le uscite di flussi finanziari dal bel Paese. Lo spread BTP-Bund (termometro del mercato del reddito fisso) non è schizzato a livelli preoccupanti, per ora. È verosimile aspettarsi che il mercato testi la forza della BCE immediatamente dopo il risultato del referendum (aumento spread in caso di vittoria del No), per poi trovare un equilibrio in area 250-275 punti base di spread contro il Bund. La volatilità post voto, dettata non tanto dalla possibile bocciatura della riforma ma piuttosto dall’instabilità politica che potrebbe seguire, deve comunque fare i conti – ancora una volta – con l’istituto di Francoforte. L’8 dicembre, infatti, si riunisce il board per il consueto meeting inerente le decisioni di politica monetaria: in discussione l’allungamento e la modifica dell’attuale programma di acquisti di bond governativi e corporate. Un messaggio forte da parte dell’istituto potrebbe calmare il mercato e innescare le eventuali coperture sulle posizioni corte montate sul rischio Italia. Una sorta di “whatever it takes” versione 2016: le ragioni di Wideman (capo della Bundesbank) sulla rigidità del mandato BCE possono anche essere condivisibili, peccato che non ci possa essere stabilità dei prezzi senza stabilità finanziaria. Insomma, la Banca Centrale potrebbe catturare il terzo cigno nero del 2016 (dopo Brexit e Trump) e limitarne gli impatti, aprendo alcune finestre di possibili entrate sul mercato al raggiungimento di determinati livelli sui titoli di Stato. Il bazooka di Draghi questa volta dovrà sparare, non solo far capire che lo può fare.
Altro ragionamento è riservato all’asset class azionario, dove la mano lunga della BCE non arriva. L’indice azionario FtseMib rappresenta, in questo, momento il vero rischio Italia: data la sua composizione – forte peso del comparto finanziario – è utilizzato dagli investitori per coprire/approfittare (prendendo posizioni corte) del momento di stress dettato dall’incertezza politica che il referendum potrebbe innescare. Il forte crollo delle quotazioni dei titoli da un mese a questa parte riflette la preoccupazione del mercato. Le posizioni corte costruite su indice – con future – unite a quelle su azioni, con posizioni corte sui singoli titoli (si veda a tale proposito il sito della CONSOB per trovare le singole posizioni corte), restituiranno, con qualsiasi risultato referendario, una fortissima volatilità sull’asset class. Per tali motivi l’investitore retail, a meno di investimenti in quantità molto limitate rispetto al totale del patrimonio, dovrebbe evitare di prendere posizione prima del risultato; una volta definito il trend, anche in questo caso, non mancheranno momenti di opportunità.
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