A metà aprile abbiamo assistito a un continuo e progressivo calo del prezzo del petrolio WTI che ha spinto le quotazioni del future a livelli che non toccava da 30 anni. Il giorno 20 aprile capita l’”impossibile”: il prezzo del future di maggio registra quotazioni negative. Si, un numero negativo. Seppur con scambi limitati qualche operatore è stato disposto a sbarazzarsi del contratto che va in consegna fisica a metà maggio.
Per chi segue il mercato delle commodities il concetto di prezzi negativi non è nuovo: a fronte dell’aumento delle fonti rinnovabili, il prezzo dell’energia elettrica in alcuni paesi è scesa a tal punto che in diverse giornate ha presentato valori negativi sul mercato.
Allo stesso tempo immaginarsi uno scenario di questo tipo per il petrolio era impossibile fino agli ultimi giorni. Nella ormai giornata del 20 aprile 2020 che ha fatto la storia, le quotazioni crollano del 300% e passano da 20$/Bbl a quasi -40$/Bbl.
Com’è potuto succedere?
Al collasso del WTI di ieri vanno additate diverse cause, alcune di carattere fondamentale, altre di carattere tecnico-operativo. Nel primo caso, la debolezza del mercato e le previsioni negative sull’andamento dei prezzi sono una conseguenza delle previsioni al ribasso della domanda globale di petrolio – a cui è seguito comunque un taglio della produzione da 9,7mln di barili/giorno, seppur non particolarmente incisivo e sufficiente a placare il pessimismo.
Qui passiamo alle cause tecnico – operative.
Partiamo da un presupposto: a fare settlement negativo è stato un solo contratto, il WTI con scadenza maggio 2020. I future WTI sono contratti a delivery fisica mensile, per cui sul mercato sono quotati strumenti che per ogni mese prevedono la consegna materiale di barili di petrolio. E mentre il contratto su maggio chiudeva a -37.63 $/Bbl, quelli con scadenze successive si fermavano in territorio positivo al di sopra dei 20$/Bbl e con variazioni inferiori ai 5 dollari.
I future sul WTI con consegna sul mese X hanno scadenza verso la fine del mese X-1 (ciò non vale per il brent, che invece ha scadenza al mese X-2): nel caso specifico del future su maggio, la scadenza è oggi.
Ciò vuol dire che chi non avesse chiuso la propria posizione entro fine serata si troverà a dover ricevere e immagazzinare barili di petrolio. Tuttavia, non tutti gli operatori del mercato sono abilitati per la consegna fisica, il che implica che devono necessariamente chiudere tutte le posizioni a prescindere dal prezzo. Al contempo, altri operatori abilitati alla consegna fisica potrebbero desiderare di ridurre la propria posizione; gli stoccaggi stanno aumentando per effetto del calo della domanda, quindi immagazzinare altri barili non sarebbe conveniente. Anche in questo caso molti si sono trovati costretti a vendere, ma evidentemente senza trovare sufficienti compratori dall’altra parte della barricata – altrimenti i prezzi non sarebbero scesi a tal punto.
Per quale ragione non vi erano abbastanza compratori? Il motivo è probabilmente da ricercare tra gli attori del mercato che possono permettersi delivery fisiche del petrolio; questi possono comprare e immagazzinare barili. Ma se le scorte continuano ad aumentare, perché fare ciò? Al momento, secondo il dipartimento dell’Energia degli USA, i magazzini sono vicini al totale esaurimento dello spazio a disposizione: si stima che a Cushing – l’hub in cui il greggio viene scambiato il WTI – lo spazio di stoccaggio sia prossimo all’esaurimento e che, ai ritmi di crescita correnti, ciò avvenga nell’arco di un mese. In una situazione del genere, può risultare economicamente sconveniente comprare altri barili. Questo fa sì che l’offerta sul mercato si assottigli fino a creare un forte sbilancio tra volumi in acquisto e in vendita. E quello che abbiamo visto ieri può ricondursi a questo: le previsioni recessive e il continuo aumento delle scorte ai livelli attuali fa allontanare i compratori , lasciando il cerino in mano a chi ha necessità di vendere.
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