La crisi scatenata dalla pandemia COVID-19 ha coinvolto e sta coinvolgendo tuttora ogni mercato e strumento finanziario. In questo scenario, non è mancato all’appello neanche il settore petrolifero che, abbinando agli effetti negativi sulla previsione di domanda di oro nero (vista in calo per 9,3 milioni di barili/giorno) lo scontro tra i produttori dell’OPEC+ (leggasi alla voce Arabia Saudita vs Russia), è riuscito in un mese a tornare ai livelli di prezzo degli anni ‘90. Nel grafico vengono riportate le quotazioni del WTI First Future su mercato Nymex a partire dal 1983 fino alla chiusura di venerdì 17 aprile – con settlement a 18,27 dollari. E nel momento in cui si scrive il mercato sta crollando di circa il 20% al di sotto dei 15 dollari.

Non solo si stanno superando i minimi della grande recessione del 2008, ma il mercato sta anche annullando gli ultimi 30 anni, tornando ai valori di fine anni ’80 – anni ’90. Il tutto in un solo mese di contrattazioni. Gli impatti recessivi da pandemia non sono l’unica causa di questo nuovo shock: il calo della domanda con conseguente aumento eccessivo delle scorte (gli stoccaggi rischiano di riempirsi al punto da costringere i produttori a chiudere i giacimenti e fermare le trivelle) poteva essere compensato – o per lo meno attenuato – da un accordo tempestivo e forte dei principali produttori mondiali. Invece gli scontri tra arabi e russi non hanno fatto altro che aumentare le tensioni sul mercato, e l’accordo di tagli da 9,7 milioni di barili/giorno non solo è risultato tardivo, bensì pure debole e troppo poco incisivo.

Quello a cui stiamo assistendo ne è il risultato.

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