Il tanto agognato accordo dell’OPEC e altri paesi esterni al cartello ha dato al mercato una forte spinta ottimistica e un vigore ai prezzi che non si vedeva da tempo. Il taglio di 1,2 milioni di barili deciso dall’organizzazione, sommati ai 600 mila della Russia e ad altri eventuali che potrebbero essere promessi nei prossimi giorni è una notizia positiva nell’ottica del ribilanciamento di un mercato che non può fare al momento grande affidamento sulle potenzialità di crescita della domanda mondiale di petrolio – che è ancora prevista debole nel prossimo anno. Tuttavia, come già osservato in altri nostri articoli, non tutti i produttori si allineeranno alle scelte dell’OPEC; anzi, sarà un’occasione per ottenere al contempo maggiori introiti e fette più grandi del mercato, aumentando l’estrazione di barili o anche solo mantenendo stabile l’operatività. Ne sono un esempio lampante gli USA, che con il loro petrolio di scisto sono probabilmente i primi beneficiari degli eventi di Algeri e Vienna.

Quindi, se da un lato l’entusiasmo iniziale dei trader è giustificato (parliamo pur sempre di un taglio che si attendeva da due anni e il cui più recente precedente risale a otto anni fa), ragionando su un orizzonte temporale più ampio sorgono delle domande: il taglio promesso basterà? Saranno sufficienti 6 mesi (più altri 6 eventuali previsti) a riequilibrare il rapporto tra domanda e offerta globali?

Le risposte dipendono da diversi fattori: in primis da quanti barili immetteranno sul mercato gli Stati Uniti e in quanto tempo lo faranno. In secondo luogo, da quanti altri paesi non-Opec decideranno di partecipare al taglio della produzione e quanti invece si asterranno dal farlo. Infine, da come si evolverà la domanda complessiva: considerata l’attuale debole crescita prevista per il 2017 e le revisioni al ribasso della stessa operate dall’IEA nel corso dell’anno, un ulteriore indebolimento potrebbe inficiare l’efficacia dell’iniziativa di Vienna, così come un rafforzamento – al momento inatteso – potrebbe richiedere uno sforzo inferiore ai produttori. I prezzi sicuramente saranno sensibili a questi fattori, che tuttavia presentano elementi più o meno incerti. La decisione di inserire un limite temporale agli accordi di Vienna di 6 mesi e la possibilità di estenderlo fino a 12 complessivi non è infatti casuale: prima di avere una verifica dei reali effetti dei tagli promessi, sarà necessario attendere la metà del 2017 (i tagli saranno operativi da gennaio).

Tutti questi elementi ci suggeriscono di contenere gli entusiasmi e non limitarci a una view di breve termine se si vuole effettuare degli investimenti sull’oro nero. Il mercato dei future sembra suggerire la stessa cosa. Si prendano in esame le quotazioni del first future e dei contratti con scadenza fino a dicembre 2018, sia per il Brent sia per il WTI. Il first future ha ovviamente beneficiato del rialzo più ampio tra tutti i contratti: il Brent è salito tra il 30 novembre e il 2 dicembre di oltre il 16%, mentre il WTI ha guadagnato poco meno del 14%. Nel primo caso i prezzi sono arrivati vicini al target dei 55$ al barile, nel secondo ai 52$. Un bel rimbalzo che ha fatto salire non poco la curva dei prezzi futures, e già i primi analisti hanno ipotizzato un petrolio a 60 dollari nel prossimo futuro. Tuttavia, osservando la stessa curva si nota come essa tenda ad appiattirsi su più lunghi periodi. Se spostiamo l’attenzione verso giugno 2017 – prima data di scadenza dei tagli alla produzione – e dicembre 2017 – scadenza entro la quale potrebbero essere estesi gli accordi di Vienna – notiamo che i guadagni man mano si riducono, seppur siano più che dignitosi: oltre il +12% alla prima data e poco sopra il +10% alla seconda, sia per Brent sia per WTI. Andando oltre, a dicembre 2018 i rialzi si “riducono” al 7%. Un appiattimento che è fisiologico, ma ad interessare sono soprattutto i livelli: al 2 dicembre, il Brent è prezzato per dicembre 2017 a 56,73$ al barile e per dicembre 2018 a 57,11$, mentre per il WTI i prezzi futures per pari scadenze sono 55,03$ e 54,85$.

brent_wti_future

Ciò significa che rispetto al first future – che ad oggi è il contratto con scadenza febbraio 2017 – i cui valori sono 54,46$ per il Brent e 51,68$ per il WTI alla chiusura di venerdì, l’incremento atteso per il prossimo biennio è limitato nell’ordine dei 2-3 dollari al barile, con un appiattimento della curva che non vede variazioni neanche tra il 2017 e il 2018 – addirittura nel caso del WTI, per il 2018 i prezzi sono visti in calo.

Al momento risulta quindi difficile aspettarsi una ripresa delle quotazioni eccessivamente vigorosa. Sono ancora troppi gli elementi incerti che potrebbero frenare il processo di riequilibrio del mercato e che il mercato stesso non sembra affatto sottovalutare. Le nostre analisi ci portano a confermare come forte resistenza il livello di 55$ al barile per il Brent e 52$ per il WTI, con possibilità di correzioni anche verso i 50$, mentre non vediamo al momento spiragli per un rally tanto solido da superare stabilmente tale soglia e rivedere i 60$ al barile.

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