Sin dal meeting informale di Algeri non sono mancati i dubbi (si veda OPEC: taglierai veramente?) circa le possibilità che gli accordi verbali annunciati si traducano in un reale taglio della produzione di petrolio da parte dell’OPEC e altri Paesi non aderenti. Dichiarazioni dei vari membri e dati sull’attività degli impianti non hanno fatto altro che alimentare ulteriormente le perplessità di molti analisti. Perplessità  che stanno aumentando mentre al meeting in corso a Vienna in questo weekend – che precede quello di fine novembre in cui dovrebbero essere messi nero su bianco i termini dell’accordo –  non sta portando al momento risultati significativi e non riguardano solo la fattibilità del piano di riduzione dell’output, ma anche le reali conseguenze che la sua eventuale attuazione produrrebbe.

I numeri anche in questo caso offrono importanti spunti di riflessione. Si osservino i dati della produzione di petrolio. Mentre i rappresentanti dell’OPEC dichiarano di voler trovare una soluzione all’eccesso di offerta globale per far ripartire le quotazioni dell’oro nero, l’attività estrattiva dei Paesi membri continua a procedere senza tentennamenti. Nel complesso la produzione è salita a 33.6 milioni di barili al giorno; si tratta di livelli record, ma la cifra è addirittura più alta secondo diversi Paesi che non condividono i dati provenienti dalle fonti secondarie (e non dirette) utilizzate dall’Organizzazione. Alcuni di questi inoltre non hanno intenzione di cedere il passo sulla via del ritorno ai livelli produttivi passati, opponendosi anche ai criteri di ripartizione dei tagli momentaneamente ipotizzati: viene contestato infatti proprio l’uso delle stime elaborate sulla base dei dati non ufficiali, che penalizzerebbe più del previsto quei produttori il cui output è dichiarato ben più elevato. Libia e Nigeria, da tempo sottoposte a gravi problemi dalle vicende geopolitiche che le vedono protagoniste, potrebbero riportare sul mercato circa 400-500 mila barili al giorno. In particolare, la Libia sembra (secondo indiscrezioni di stampa) aver innalzato la sua produzione a poco meno di 600 mila barili al giorno – un dato molto superiore ai 363 mila pubblicati a settembre dall’OPEC; inoltre,  l’obiettivo dichiarato del Paese è portare l’output a 900 mila barili entro fine anno. Obiettivo di crescita inseguito anche dall’Iran, che dai 3.6 milioni di barili attualmente estratti vuole arrivare a 4.6 milioni in un orizzonte di 5 anni – per un incremento di 1 milione di barili al giorno. Recenti sono le notizie che giungono dall’Iraq: considerato il dissanguamento delle finanze pubbliche provocato dalla guerra in atto nel paese, il ministro del Petrolio ha affermato la necessità di rivedere le condizioni dell’accordo di Algeri. Una stima provvisoria stabilirebbe una decurtazione dell’output dagli attuali 4.7 milioni di barili a meno di 4.2 milioni: circa 500 mila barili – quindi – cui lo stato iracheno non si mostra disposto a rinunciare. Anzi, anche in questo caso le intenzioni vanno nella direzione esattamente opposta, ovvero verso un aumento dell’attività estrattiva – necessaria per finanziare le casse pubbliche.

Anche al di fuori dell’OPEC c’è chi continua a correre: la Russia – grande sponsor della prima ora di un accordo per il taglio della produzione – è giunta a settembre a un altro record storico dell’era post sovietica, con 11.1 milioni di barili estratti. Non esattamente il dato che ci si aspetterebbe da chi incita da tempo un accordo per limitare l’oversupply sul mercato. Infatti il tono delle dichiarazioni è man mano cambiato: i rappresentanti del governo di Mosca hanno dapprima cominciato a ipotizzare anche solo un congelamento della produzione ai livelli (massimi) attuali, successivamente (per bocca del ministro dell’energia e del rappresentante presso l’OPEC) escluso il taglio come opzione percorribile per il proprio Paese. Affermazioni che risultano molto più coerenti con i numeri mostrati…

Non si dimentichi poi lo shale oil americano. Nonostante le scorte di greggio stiano calando (di circa il 9%) dai massimi raggiunti nel secondo trimestre del 2016, da giugno è ripartita l’attivazione di trivelle negli Stati Uniti. Dal minimo di 404 toccato a fine maggio, il numero di trivelle è cresciuto del 37% fino ai 553 di settimana scorsa. Un dato che lascia presagire un ritorno di fiamma per lo shale oil che, in caso di rialzo dei prezzi qualora i tagli dell’OPEC risultassero effettivi, potrebbe avere un impeto ancora più importante, riportando sul mercato ulteriori barili.

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Tutti i dati vanno letti inoltre in un contesto di mercato in cui la domanda stenta ad accelerare. Secondo gli ultimi report dell’International Energy Agency (IEA) la crescita futura è in rallentamento rispetto a quanto previsto solo fino a luglio: per quanto riguarda il 2016, le previsioni di aumento sono pari a circa +1.3 milioni di barili su base annua (le precedenti rilevazioni erano di +1.4/+1.5 milioni), mentre sono pari a +1.2 milioni per il 2017 da +1.3 milioni.

Di conseguenza, in un quadro di domanda debole e di produzione che tocca livelli sempre più alti in alcuni Paesi e si prepara a riprendersi in altri, anche qualora il taglio della produzione tanto ambito diventasse realtà, il suo impatto potrebbe non rivelarsi sufficiente per riequilibrare il mercato in tempi brevi e far ripartire le quotazioni del greggio.

Il mix di dati e dichiarazioni contrastanti non fanno altro che alimentare sempre più lo scetticismo di osservatori e operatori sulle reali intenzioni – o capacità di tramutarle in realtà – dei membri OPEC, tanto che i prezzi si sono riportati sotto quota 50$ al barile. È bastato un mese per far vacillare ogni ottimismo e l’unico modo per recuperare la fiducia che il mercato sta man mano perdendo è un’azione del cartello che vada oltre le parole e dia concretezza agli annunci di voler riportare equilibrio sul mercato petrolifero. Concretezza che può essere ottenuta non solo mettendo in pratica l’accordo di Algeri, ma anche rivedendo al rialzo il “sacrificio” complessivo richiesto a ciascun Paese per far sì che la riduzione di oversupply sia efficace. 

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