Dopo la BCE, settimana scorsa è stato il turno della FED. A conclusione del meeting di martedì e mercoledì è stato annunciato il rialzo dei tassi di riferimento dello 0,25% al livello di 0,50-0,75%, aumento ampiamente atteso dai mercati che ne assegnavano una probabilità del 100%. Tuttavia la reazione delle varie asset class non è stata quella che ci si aspettava infatti la notizia che ha rappresentato la vera novità del FOMC è stato il messaggio fornito dal governatore Yellen: nel 2017 la politica monetaria restrittiva potrebbe accelerare e portare a 3 rialzi del costo del denaro. Questa dichiarazione é stata un’inversione di marcia rispetto agli ultimi meeting dopo i quali non erano mai state dichiarate le future mosse della Banca Centrale: Yellen si è mostrata “hawkish”, ovvero più dura e vicina alla linea tenuta finora dai falchi del Federal Open Market Committee, portando come argomenti a sostegno della sua nuova tesi i segnali provenienti da inflazione, salari e lavoro. Nel primo caso le aspettative di crescita futura sono in rialzo, vicine al 2% a partire da fine 2017, così come in crescita risultano ancora i salari dei lavoratori. In merito al mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione (4,6%) è ai minimi dal 2007, così come le richieste continuative di sussidi – addirittura ai minimi degli ultimi 16 anni. Per il 2017 e 2018 il tasso di disoccupazione atteso è del 4,5%.

Inoltre, la FED ha rivisto al rialzo anche le aspettative di crescita del PIL: +2,1% per il 2017 rispetto al +2% stimato a settembre.

Tali elementi hanno portato l’istituto a ritenere probabile e opportuna un’accelerazione del processo di stretta monetaria, che non ha mancato di mostrare i suoi effetti sui mercati. Il primo di questi – il più menzionato – è il rafforzamento del dollaro, che ha avuto una forte spinta rialzista contro le altre valute. Il rapporto di cambio con l’Euro è sceso ai minimi da circa 12 anni – fino a 1,0419.

La stessa tendenza è riscontrabile nel confronto con le altre valute; si osservi in particolare il cambio con il Renminbi cinese, che ad oggi si trova a circa quota 6,96 (per un dollaro statunitense), ovvero il massimo valore di scambio per la valuta a stelle e strisce contro la valuta del dragone.

Per quanto riguarda i mercati azionari, mentre quello americano dopo un’iniziale correzione al ribasso (eccetto i titoli bancari) ha subito ripreso la sua crescita, i mercati piú colpiti sono stati sicuramente quelli emergenti che hanno perso circa il 4% dal momento dell’annuncio.

I titoli di Stato americani hanno immediatamente scontato sia le maggiori aspettative inflazionistiche sia una maggiore crescita economica – ed il loro rendimento ha proseguito il rally iniziato dall’elezione di Trump come presidente.

Ovviamente un’altra asset class che ha subito negativamente la decisione del FOMC è l’oro: asset difensivo che non producendo cedole/dividendi soffre scenari con tassi di interesse in crescita.

Il tanto atteso rialzo dei tassi americani è quindi ormai realtà e dalle ultime dichiarazioni del governatore Yellen ci si può attendere che il 2017 sarà un anno di minore opacità circa la direzione che la Banca Centrale vuole dare alla propria politica monetaria.

Tuttavia, molte delle paure inizialmente legate alle mosse della FED in questo finale di 2016 non sembrano essersi ancora materializzate – per lo meno non con la portata temuta; il 2017 fornirà risposte più chiare sui reali effetti che la più decisa e “hawkish“ politica monetaria statunitense avrà sui mercati internazionali.

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *