A due mesi dall’annuncio di Algeri, il giorno della verità è arrivato: oggi a Vienna si aprirà ufficialmente il meeting OPEC che dovrà confermare – e nel caso presentare i dettagli – o sconfessare l’accordo sui tagli alla produzione di petrolio su cui sono puntati gli occhi di tutti gli operatori. Come sospettato da molti – anche sulla base dei precedenti storici fatti di dichiarazioni contraddittorie e azioni opposte alle intenzioni dichiarate – ci si è avvicinati a questa scadenza osservando una sorta di partita a poker, in cui i membri del cartello sono seduti attorno al tavolo, giocano le proprie carte, studiano gli avversari ed escogitano bluff per indirizzare la partita a proprio vantaggio. Immaginiamo attorno a questo tavolo diverse tipologie di giocatori: da un lato troviamo il più forte, l’Arabia Saudita, con una montagna di fiches davanti a sé, che dirige il gioco. La montagna di fiches si è un po’ abbassata rispetto a quando la partita è cominciata, nel 2014; le prime mosse – non tagliare e portare la produzione ai livelli massimi – hanno colpito anche Riyadh, che ha scoperto i deficit di bilancio e ha visto ridursi le proprie riserve finanziarie, ricorrendo anche al mercato obbligazionario per reperire risorse (vedi articolo).
Dall’altra parte troviamo i giocatori che tra vari ostacoli stanno tornando a farsi sotto nel gioco: l’Iran, che da gennaio (con la fine delle sanzioni) si è ripresentata con forza sul mercato accrescendo la propria produzione a ritmi invidiabili, e l’Iraq che – complice la complessa situazione geopolitica – ha ripreso a estrarre ed esportare barili di greggio per frenare il dissanguamento delle finanze pubbliche. Questi due giocatori hanno meno fiches della controparte saudita, ma stanno partecipando attivamente alla partita giocando buone carte. Sin dal meeting di Doha, Riyadh ha tentato di mettere all’angolo Teheran, vincolando ogni possibilità di accordi su tagli o congelamenti dell’output alla partecipazione attiva di quest’ultima; a Vienna ha messo nel mirino anche l’Iraq, che dovrebbe a sua volta frenare la propria attività estrattiva. I due paesi non hanno ceduto (avrebbero perso subito le quote di mercato riconquistate, a vantaggio anche dei sauditi) e anzi hanno bluffato a loro volta quando i sauditi hanno espresso ottimismo e apertura verso gli altri membri dell’organizzazione per giungere a un accordo soddisfacente per tutti (dichiarazioni che al momento odorano proprio di bluff). Hanno manifestato anch’essi lo stesso spirito costruttivo e collaborativo, salvo poi contestare i dati utilizzati per calcolare gli eventuali tagli alla produzione, non ritenere corretto chiedere loro di porre un tetto all’output prima che abbiano raggiunto le quote di mercato perse negli anni precedenti e così via…
Intorno ai giocatori più grandi e forti troviamo i comprimari – i membri più piccoli dell’OPEC: hanno poche fiches sul tavolo, il loro peso specifico nell’Organizzazione è ben al di sotto di quello di arabi o iraniani, e si “limitano” a sperare che le mosse altrui chiudano la partita con un bel taglio di forbici che riporti il prezzo del petrolio ai fasti di un tempo, o almeno a livelli che permettano loro di non produrre più in perdita. Sono seduti al tavolo con gli altri, ma non hanno sufficienti mosse a disposizione per indirizzare la partita dalla loro parte e non possono fare molto più che osservare gli eventi.
Ad osservare la partita troviamo anche altri produttori, esterni al cartello. Il più in vista proviene da Mosca: talvolta si appropinqua al tavolo paventando la possibilità di sedersi assieme agli altri giocatori – offrendo il proprio supporto a un taglio della produzione – ma poi si allontana e si riposiziona tra gli spettatori – dichiarando che è interessata solo a un congelamento dell’output – in attesa di vedere come finirà la partita. E nel mentre la Russia continua, tra le numerose dichiarazioni contraddittorie, a superare i record di estrazione di greggio dalla fine dell’Unione Sovietica.
Ci sono poi gli USA che comodi tra le rocce di scisto, su cui hanno ripreso ad attivare trivelle dopo aver assorbito gli effetti delle prime carte giocate dall’Arabia Saudita (aumento della produzione e conseguente crollo dei prezzi), osservano l’evoluzione della partita consapevoli che l’aumento dei prezzi dettato da un eventuale taglio giocherebbe solo a loro favore; anzi, i produttori di shale oil si troverebbero in una posizione di forza ancora più marcata rispetto a due anni fa, grazie all’efficientamento dell’attività estrattiva che li rende più flessibili e competitivi. Probabilmente i giocatori dell’OPEC stanno pensando anche a loro mentre studiano le prossime mosse: un taglio della produzione allevierebbe le difficoltà finanziarie dei vari membri, già provati (chi con più sofferenza, chi con meno) dal crollo dei prezzi, ma consegnerebbe quote di mercato alla concorrenza statunitense e anche alla controparte russa. D’altro canto, il mantenimento dello status quo potrebbe far rivivere al mercato le tensioni che lo hanno portato ai minimi di inizio anno; ciò si tradurrebbe in ulteriori riduzioni di fiches per i paesi produttori e in un aumento delle tensioni al tavolo del gioco. Spetta ai giocatori con le carte in mano – sauditi, iraniani in primis – scegliere le prossime mosse e chiudere la partita tra bluff e carte coperte. Resta da scoprire il risultato finale…
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