A Novembre 2015, quando l’euro scambiava in media a 1.07 contro il dollaro, la valuta del vecchio continente si era deprezzata del 15% rispetto all’anno precedente e del 25% rispetto ai massimi del 2014. In quel periodo le diverse banche di investimento si affrettavano a rivedere al ribasso i propri target previsionali sull’Euro/Dollaro verso la parità o ben oltre.
Eravamo nel pieno di una guerra valutaria (non sentirete mai usare questo termine ufficialmente) in cui diverse banche centrali nel mondo cercavano di svalutare la propria moneta attraverso politiche monetarie accomodanti (taglio tassi e QE). Nulla di nuovo sotto il sole: nel corso della storia è accaduto diverse volte che un paese applicasse svalutazioni alla propria moneta al fine di rilanciare la competitività economica interna e noi italiani dovremmo ricordarlo.
Chiaramente il gioco delle svalutazioni è a somma zero perché simmetrico negli effetti: se l’euro si deprezza lo fa contro un’altra valuta. Fino ad oggi diversi paesi hanno cercato di svalutare la moneta contro il dollaro per svariati motivi, ma soprattutto perché l’economia americana appariva come la più robusta e la Fed era pronta ad iniziare un ciclo di aumento dei tassi. Tuttavia l’aggressività della “guerra valutaria” condotta a livello globale ha portato a due problemi: 1) il dollaro troppo forte ha compromesso le prospettive di crescita negli USA riducendo quindi la capacità della Fed di rialzare il costo del denaro e 2) la Cina, che ha una valuta semi-legata al dollaro, si è trovata con il Renminbi estremamente sopravvalutato (cfr. grafico BIS tassi di cambio reali effetivi) proprio nel momento in cui cominciava ad aprire il mercato dei capitali.
Fig. 1: BIS tassi di cambio reali effetivi: valori oltre 100 indicano monete sopravvalutate. Secondo il “BIS Triennial Central Bank Survey” pubblicato a fine 2015 il 99% delle transazioni finanziarie mondiali sono effettuate in USD, EUR, JPY e CNY
Tuttavia sembra che nelle ultime settimane qualcosa sia cambiato. Lo Yen giapponese si è apprezzato notevolmente, così come l’Euro, contro il Dollaro e il Renminbi tanto da far pensare che dopo la “currency war” sia intervenuta la “currency peace”, ovvero un accordo (siglato secondo rumors in occasione del G20 di Shanghai lo scorso febbraio) tra le maggiori economie al fine di stabilizzare i sistemi finanziari e alleggerire gli squilibri che si stavano formando.
Va ricordato a tal proposito come anche il Fondo Monetario Internazionale abbia più volte sottolineato il ruolo sistemico del dollaro e di come la Fed, nel prendere le proprie decisioni, non debba guardare soltanto all’economia domestica ma al complesso sistema finanziario mondiale.
Quali scenari quindi si delineano e cosa stanno prezzando i mercati? I mercati si stanno adattando velocemente a questa fase di “tregua” valutaria. La curva a termine dei tassi statunitensi si è abbassata notevolmente, segnale che indica l’attesa da parte degli operatori finanziari di un ciclo di rialzo del costo del denaro molto lento e dilatato nel tempo.
Questo cambio di percezione dell’evoluzione dei tassi statunitesi ha fatto sì che il dollaro si sia indebolito contro le valute globali tanto che il Dollar Index (indice del valore del dollaro contro un basket di valute straniere) si è deprezzato di circa 6 punti tra la fine di Febbraio ed oggi.
Fig 2: Andamento del Dollar Index. Fonte: Bloomberg
Riteniamo che sia opportuno un sano atteggiamento critico nei confronti del grande consenso attorno ad un rafforzamento del dollaro nei prossimi mesi.
Probabilmente il mercato valutario sarà estremamente volatile e ci saranno quindi grandi opportunità ma anche grandi rischi. Siccome tutti gli squilibri macro-economici si stanno scaricando sulle monete, i movimenti potranno essere violenti e occorrerà avere un atteggiamento più da trader che da investitore passivo. In mancanza di uno stomaco forte, meglio tenersi alla larga.
La tregua è stata siglata, ma il cammino verso una pace completa è ancora molto lungo.
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