Era il 17 aprile di quest’anno quando l’attesissimo vertice di Doha, che doveva portare a un congelamento della produzione dei paesi OPEC, si concluse con un nulla di fatto e con posizioni decisamente contrapposte tra i principali membri dell’organizzazione. Da allora le quotazioni del petrolio hanno avuto un andamento volatile, con una fase di rialzo (inattesa visto il risultato del vertice) immediatamente successiva a Doha seguita da una correzione che l’ha riportata ai livelli precedenti il meeting di aprile, per risalire nuovamente nell’ultimo periodo, all’interno di un intervallo di valori compreso tra i 45 e i 50 dollari.

A quasi sei mesi di distanza da quel 17 aprile la storia sembrava ripetersi. Ad Algeri si è tenuto un forum sull’energia durante il quale è stata colta l’occasione per svolgere un meeting informale tra i paesi OPEC e la Russia – gli stessi protagonisti della puntata precedente. L’incontro arrivava dopo dichiarazioni che da un lato – le nazioni più sensibili ai bassi livelli dei prezzi – invocavano un accordo per risollevare il mercato petrolifero, mentre dall’altro – i membri più influenti – lasciavano intravedere qualche disponibilità a raggiungere un accordo. Insomma, un quadro non molto distante da quello che ha preceduto il vertice di Doha, da cui la maggioranza degli analisti non si aspettava risultati molto diversi. Le premesse con cui si presentavano i membri del cartello, in particolare i suoi principali azionisti – Arabia Saudita e Iran – erano sempre le stesse: l’output complessivo è stato spinto verso ulteriori massimi – quello del regno saudita è arrivato a 10,5 milioni di barili – l’Iran si sta riavvicinando all’obiettivo della produzione di 4 milioni di barili al giorno (3,66 ad agosto), mentre altri paesi, quali Libia e Nigeria, sono “rientrate nel giro” dopo le interruzioni di attività causate dalle condizioni geopolitiche interne.

Probabilmente, la sola differenza rispetto ad aprile risiedeva nell’approccio mostrato proprio da sauditi e iraniani, che nelle precedenti occasioni avevano palesato posizioni in forte contrasto: se prima i rappresentanti di Teheran non si erano neanche presentati e avevano rilasciato dichiarazioni al vetriolo contro la proposta e le condizioni di accordo proposte da Riyad, ad Algeri il clima è stato più collaborativo e disponibile al dialogo. Nonostante ciò, le attese per questo nuovo evento non erano volte all’ottimismo, tanto che la stragrande maggioranza degli analisti riteneva improbabili notizie nuove e addirittura positive.

Invece le previsioni degli analisti sono state (nuovamente) smentite: con un po’ di effetto sorpresa l’OPEC ha dichiarato di aver raggiunto un accordo per limitare la produzione di petrolio a 32,5 milioni di barili al giorno, il che implica una riduzione di circa 0,7 milioni rispetto ai 33,2 attualmente raggiunti. Accordo che al momento è ancora verbale e che dovrà essere ratificato è tradotto in azioni pratiche nel vertice ufficiale previsto a novembre.

Una notizia recepita positivamente dai mercati, che hanno risposto all’annuncio con l’avvio di un mini rally: il Brent e il WTI, con un rialzo del 12% in soli 10 giorni, si sono riportati sopra i 50$ al barile e ai massimi degli ultimi 6 mesi.

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Le quotazioni sono state sostenute anche da altre dichiarazioni dell’ultima settimana, secondo le quali è stato stabilito un incontro – informale anch’esso – per stabilire le regole del taglio dell’output prima di novembre.

Il susseguirsi di dichiarazioni indubbiamente aiuta il mercato a vivere con ottimismo l’attesa per comunicazioni più ufficiali e soprattutto confermate da documenti firmati. I toni utilizzati in particolare da sauditi e iraniani, che sono i reali contendenti delle partite all’interno dell’organizzazione, risultano diversi rispetto a qualche mese fa, anche se una prima prova di una minore tensione era stata data in occasione della nomina del nuovo segretario generale dell’OPEC (si veda anche l’articolo 2 giugno: nuovo corso all’OPEC?).

Tuttavia, la stessa mancanza di ufficialità dovrebbe frenare gli entusiasmi: gli ultimi due anni hanno insegnato come numerose dichiarazioni siano state successivamente contraddette da altre di carattere esattamente opposto e abbiano creato altrettante false aspettative. Si pensi a tal proposito all’irrazionale ottimismo che diverse dichiarazioni avevano creato in molti analisti e investitori in merito alla trattativa sul congelamento della produzione di Doha. Anche le recentissime dichiarazioni del ministro saudita dell’energia – “l’OPEC non dovrebbe tagliare troppo la produzione” – non sembrano troppo in linea con i comunicati che le hanno precedute.

Il mercato ha dimostrato a più riprese di essere fortemente condizionato più dalle comunicazioni dei rappresentanti dell’Arabia Saudita o dell’Iran di turno che da elementi oggettivi. Per quanto ad Algeri abbiano riservato a tutti una sorpresa, comunicando un accordo informale per un taglio che non avviene da 8 anni, sono ancora numerosi i nodi da sciogliere. In particolare si dovrà stabilire di quanto ciascun membro dell’organizzazione dovrà ridurre l’output, un tema su cui potrebbe innescarsi un altro gioco di dichiarazioni e comunicati che il mercato seguirà con molto interesse. L’ottimismo ora prevale, ma pur sempre su dichiarazioni e non ancora su fatti concreti: ulteriori eventuali voci, dichiarazioni, rumors non faranno altro che alimentare la volatilità.

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