Sembra passato molto tempo da quando l’attenzione degli operatori era sull’OPEC, sui conflitti politici che lo attraversano, sulle posizioni di Arabia Saudita e Iran sul congelamento della produzione di petrolio, e dall’ultimo vertice in cui le ostilità sembrano essersi attenuate. Invece l’ultimo vertice dell’organizzazione risale solo al 2 giugno, ma l’attenzione sulle sue dinamiche interne sembra essersi ridotta.
Nelle ultime settimane il trend rialzista del greggio, che ha portato per alcune sedute le quotazioni di nuovo sopra i 50$ al barile, è stato sottoposto a volatilità e ampi movimenti dall’evento minimo comune denominatore di tutti i mercati finanziari: la Brexit. Le incertezze iniziali, le speranze degli ultimi giorni e in ultimo la delusione seguente il risultato del referendum hanno influenzato non poco i mercati petroliferi: al termine dello spoglio dei voti in Gran Bretagna, il Brent ha perso oltre il 5% nell’arco di una sola giornata (il WTI non ha fatto di meno), dopo settimane di sali e scendi dettati dalle attese degli operatori sull’esito della consultazione britannica, tanto volatili quanto gli stessi mercati.
Nei precedenti articoli abbiamo parlato dei driver che da inizio anno stanno muovendo il mercato petrolifero, e l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea entra a pieno titolo nella lista. Dunque la domanda è la stessa posta per tutte le asset class: quale effetto avrà la Brexit sul petrolio?
Distinguiamo l’analisi tra effetti psicologici e fondamentali. Nel breve periodo l’impatto del referendum britannico procurerà ancora volatilità, legata allo scossone emotivo e allo stato di incertezza che la Brexit ha generato trasversalmente negli investitori. Pur non aspettandoci altre sessioni dure quanto quella di venerdì 24 giugno, riteniamo che nel breve periodo i prezzi potrebbero registrare ancora delle correzioni al ribasso e oscillazioni ampie, anche intraday; ciò rappresenta un’opportunità per chi, con una buona propensione al rischio, è disposto ad affrontare la volatilità per trarne profitto con operazioni a breve o brevissimo termine.
Guardando oltre il breve periodo, l’effetto psicologico lascia spazio a valutazioni più razionali e basate sui fondamentali. Individuiamo due effetti in particolare: sul mercato valutario, la debolezza della sterlina e il propendere degli investimenti verso le classiche valute rifugio potrebbe rinforzare il dollaro statunitense; in tal caso, i prezzi del greggio (storicamente inversamente correlati con il biglietto verde) subirebbero una pressione ribassista.
Allo stesso modo, la nuova situazione politica-economica dell’area euro, alla luce dell’uscita del Regno Unito, imporrà una rivisitazione delle stime di crescita delle due aree. In entrambi i casi, le prospettive potrebbero essere revisionate al ribasso, il che si ripercuoterebbe sulla domanda di petrolio. In tal caso i mercati si troverebbero a scontare il calo della domanda, che avrebbe un ulteriore effetto calmierante sulle quotazioni.
Tuttavia, la Brexit si inserisce in un contesto ben più ampio e complesso quale è il mercato petrolifero. I suoi effetti saranno limitati rispetto agli altri driver che governano le dinamiche dei prezzi. Il recente rialzo è stato alimentato e rafforzato da fattori che hanno prodotto effetti reali sulla produzione mondiale: il calo dell’output negli USA, quello registrati in Nigeria e in Canada (causato da eventi esogeni) hanno ridotto il gap tra l’offerta e la domanda. Al contempo negli Stati Uniti è gradualmente ripresa l’attivazione di trivelle, le scorte di petrolio stazionano ancora su livelli elevati, Iran, Russia e Arabia Saudita continuano a estrarre petrolio a ritmi elevati e le tensioni insite (seppur apparentemente attenuate) all’interno dell’OPEC devono essere tenute sempre sotto osservazione.
Chi intenderà prendere posizione sul greggio dovrà tenere conto di questo complesso quadro, non cadendo nella tentazione di focalizzare le sue scelte sull’onda emotiva di un evento sì storico, ma dall’impatto relativamente marginale per il mondo petrolifero.

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