E’ troppo presto per determinare con certezza i costi sull’economia U.K. derivanti dal referendum sull’uscita dall’Unione Europea. Da un lato diversi indicatori di breve periodo evidenziano una possibile recessione: i nuovi ordini di macchinari, ad esempio, hanno registrato in luglio il calo più importante negli ultimi 20 anni accompagnati da un crollo della fiducia delle imprese (al minimo dal 1974). Dall’altro ulteriori evidenze economico-finanziarie suggeriscono un meno severo e duraturo shock: il mercato azionario (indicatore di sintesi dello stato di salute presente e futuro dell’economia) ha recuperato buona parte delle perdite registrate nei primi giorni post Brexit e il mercato immobiliare, dopo le inziali preoccupazioni su possibili importanti svalutazioni, registra segni positivi per il mesi di luglio nel settore nuovi locali affittati.
Diversi economisti, oggi, prevedono più una stagnazione per i prossimi mesi piuttosto che una recessione (anche grazie al recente intervento della Bank of England). Altri si dilettano a calcolare gli impatti negativi derivanti dai futuri accordi commerciali con l’Unione Europea. Insomma, incertezza… incertezza politica, economica e sociale.
Allo stesso tempo, a circa tre mesi dall’evento che ha fatto crollare il mito dei bookmakers inglesi e regalato un sorriso alla Regina Elisabetta, una cosa è certa: la metà – meno qualche testa – dei cittadini del Regno Unito non si sente rappresentato dalla decisione storica presa dal vicino di casa, dal collega di lavoro, dalla barista del Pub all’angolo e dalla stessa nonna che ogni domenica prepara il pudding per tutta la famiglia. Di questo si parla e si discute poco. In molti si cullano (nascondono, forse) dietro al principio maggioritario insito nell’istituto del referendum: 50+1 vince, 50-1 non ha diritti sulla decisione presa. I principi democratici sono, pienamente, rispettati. Il popolo ha deciso, liberamente… o almeno così pensa. Politici dell’ultima ora, navigati oratori delle tribune parlamentari e gente della strada si affrettano a dichiarare la vittoria della democrazia: in verità l’esaltazione del processo democratico – ovvero del mezzo – ha tragicamente oscurato il fine – il perché della Brexit. Nell’epoca delle dichiarazioni, commenti e analisi in 140 caratteri abbiamo cancellato secoli e secoli di storia, intesa come pensiero, dell’umanità. Senza richiamare il tribunale dei “Cinquecento” che condannò – ingiustamente – a morte Socrate nel 399 d.c. (280 a favore, 220 contrari) ma fermandoci ad analizzare la storia moderna dell’Europa troviamo nelle parole di Edoardo Ruffini “Il principio maggioritario” (uno dei pochi docenti universitari che non giurarono fedeltà al regime fascista) alcune considerazioni illuminanti: “la comunissima regola per cui in una collettività debba prevalere quello che vogliono i più e non quello che vogliono i meno, racchiude uno dei più singolari problemi che abbiano affaticato la mente umana”. Evidentemente, leggendo le dichiarazioni post voto, la classe politica del nuovo millennio deve aver brillantemente risolto questo dilemma democratico. Il principio maggioritario è tanto ovvio e scontato finchè non lo si contrappone al suo opposto, il principio minoritario.
Ancora Ruffini eleva il ragionamento affermando come “se il numero venisse a trovarsi anche dalla parte della minoranza – come nel caso di una deliberazione presa con lieve scarto di voti – l’argomento che ravvisa la prova della maggiore saggezza nel prevalere, appunto, di una maggioranza viene meno”. Questo non significa che il principio maggioritario, su cui si basano le democrazie, debba essere accantonato: la risposta al dilemma risiede, infatti, nell’accrescimento della capacità di giudicare. La maggioranza è infatti un concetto prima politico, poi aritmetico. Ecco che la politica deve allora educare. Tuttavia, scorrendo il film della recente campagna elettorale Brexit/Brexin, si fa fatica a trovare un percorso “educativo” coerente con l’importanza storica della decisione lasciata (o meglio, lanciata) al popolo.
In conclusione possiamo affermare come il recente Referendum nel Regno Unito sia stato prevalentemente un’affermazione aritmetica del principio maggioritario. Le conseguenze? Per lo più ancora incerte. Una sicura: aritmetica 1, politica 0.
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