Guardando al di là dell’Atlantico, nelle ultime settimane tiene banco il dilemma se le borse USA abbiano ormai chiuso il loro rally, se i titoli tech stiano ricadendo in una bolla simile a quella di inizio millennio, o se continueranno a essere bruciati nuovi record. I mercati statunitensi stanno vivendo una fase rialzista lunga otto anni, durante la quale non hanno smesso di raggiungere e superare nuovi massimi storici. Dal 2009 ad oggi i principali listini hanno quasi triplicato la propria capitalizzazione; ai livelli attuali, ad esempio, lo Standard & Poors 500 si trova a quotare più di 900 punti oltre i massimi del 2000 e 2007, che hanno preceduto le ultime bolle speculative e crisi economiche. I mercati azionari hanno quindi ampiamente recuperato dalle ripercussioni della più grande crisi economica dal 1929, con una forza la cui straordinarietà aumenta proporzionalmente al suo prolungarsi.

A spingere questa risalita sono state non solo le politiche fiscali del governo di Obama, che ha rimesso l’economia a stelle e strisce su un percorso virtuoso, ma anche quelle monetarie della Federal Reserve, che con anni di tassi bassissimi e QE ha agevolato l’afflusso di denaro sugli investimenti azionari.

Tuttavia, dalla seconda metà dell’anno scorso il contesto eccezionale che la crisi e i suoi rimedi hanno generato sta cominciando a normalizzarsi. La banca centrale ha intrapreso la strada dei rialzi dei tassi, dopo aver chiuso l’ultimo programma di quantitative easing; l’economia cresce, ma con minore impeto e qualche scricchiolio in più. Di fronte a tali evidenze, le borse non hanno frenato la loro corsa, bensì hanno accelerato. 

Ciò non sta rispecchiando i veri valori sottostanti ai mercati. Diversi elementi ci portano a ritenere che il mercato azionario statunitense sia sopravvalutato e stia deviando sempre di più dalla traiettoria dell’economia reale.

Prendiamo a riferimento il percorso dell’indice S&P 500 dal fatidico mese di novembre 2016, quando l’elezione di Donald Trump a presidente ha scatenato – anzichè la violenta correzione ipotizzata da tanti – una forte spinta rialzista. Già il solo fatto che i prezzi abbiano continuato a salire nonostante i massimi storici raggiunti nel corso dell’anno scorso è un buon motivo per nutrire dubbi sulle possibilità di rialzi ulteriori; non comprare, bensì vendere, sui massimi è sempre una buona regola per qualunque investitore.

Tuttavia, un supporto quantitativo a tali valutazioni permette di avere una visione più ampia dell’attuale situazione dei mercati USA.

Il modo migliore per capire se il mercato sia sopravvalutato o meno è quello di compararlo con i fondamentali dell’area economica di riferimento. Pur considerando che gli investitori decidono le proprie mosse in base anche alle aspettative, e non solo ai dati certi, nel lungo periodo le quotazioni tendono a incorporare il reale stato dell’economia. Se ne deduce che a fasi di ottimismo o pessimismo seguiranno correzioni tanto violente quanto ampio e prolungato sarà stato l’eccesso di valutazione.  

Da una serie di analisi NoRiskFree ha individuato le variabili che, singolarmente e non, risultano più rilevanti nel descrivere l’andamento dello Standard & Poors. Parliamo di:

  • Indice di produzione industriale;
  • Scorte di magazzino;
  • Richieste continuative di disoccupazione;
  • Indice Case-Shiller;
  • Credito al consumo in circolazione;
  • Massa monetaria M2;
  • Fed Funds.

Tali variabili sintetizzano l’evoluzione dell’economia statunitense sotto l’aspetto della produzione, del lavoro, del mercato immobiliare, oltre che del credito e degli effetti della politica monetaria della Federal Reserve – molto influente negli ultimi anni.  

Il risultato è un modello di regressione con una bontà (R²) del 96%, che si è rivelato in grado di individuare le fasi di sopravvalutazione del mercato più critiche della storia recente (bolla tecnologica e subprime). Al contempo ha individuato anche i casi di eccessivo pessimismo degli investitori, fornendo segnali per opportunità di investimento quando le quotazioni erano depresse.

Osservando i dati aggiornati ad oggi, il modello quantitativo sta rilevando un ampliamento dello scollamento tra le quotazioni reali del principale indice di borsa americano e i valori attesi in base alle variabili del modello stesso. L’S&P 500, da novembre ad oggi, ha registrato una crescita superiore al 15%, mentre le variabili economiche, esclusi i tassi di interesse – che risentono della politica di normalizzazione della FED – hanno avuto performance ben più modeste. La produzione industriale è cresciuta del 2%, le scorte dell’1% scarso, l’indice Case-Shiller è salito del +3%, al pari della massa monetaria, mentre le richieste di disoccupazione sono scese del -3,7%. Ovvero, l’indice di borsa ha performato oltre 5 volte rispetto alle variabili economiche reali.

La deviazione che i valori azionari hanno preso rispetto ai fondamentali economici è ben visibile nel grafico sopra, che raffigura l’andamento dal 2000 ad oggi dell’S&P 500 reale (linea continua rossa), di quello atteso tramite il modello NoRiskFree (linea continua blu) e gli scarti tra i due.

Negli ultimi sette mesi i prezzi sono saliti a ritmi elevati, mentre la crescita attesa sulla base dei fondamentali è decisamente più contenuta, seppur sempre positiva. Ciò ha portato indice e modello ad allontanarsi come solo poche volte in passato: parliamo del 2008-2009, all’apice della crisi subprime, e del 2012. Prima ancora scostamenti dello stesso livello risalgono al periodo 2001-2003.

Con questo non si vuole dire che siamo prossimi a una nuova crisi o bolla speculativa in stile subprime. Non va neanche dimenticato che i continui afflussi sull’equity sono “aiutati” dall’appiattimento della curva dei rendimenti – i cui valori molto bassi portano gli investitori a perpetrare nell’acquisto di azioni, nella speranza di ottenere guadagni migliori.

Tuttavia, i segnali di un modello che ha riconosciuto i periodi di grave sopravvalutazione o sottovalutazione del mercato ci portano a guardare con sempre maggiore diffidenza alle prospettive della borsa americana e a ritenere un investimento su di essa non giustificato e dal profilo di rischio troppo elevato.  

La crescita economica, per quanto rimanga positiva, non è così forte da motivare le performance viste, e a un certo punto gli investitori si renderanno conto di essere di fronte a un mercato eccessivamente sopravvalutato, presentandogli il conto. L’augurio è che se ne accorgano in tempo: la correzione sarebbe così meno impetuosa e dolorosa.

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