Partiamo da un principio fondamentale: non esistono investimenti privi di rischio (no risk free). Quando sottoscriviamo uno strumento finanziario non stiamo comprando un rendimento ma un rischio; il rendimento è, infatti, il valore che remunera il rischio assunto. Tutte le attività finanziarie sono per definizione rischiose, ovvero sono legate ad una determinata probabilità o meno di rimborso del capitale investito; prima di effettuare un qualsiasi investimento di natura finanziaria dovremmo quindi sempre calcolarne la rischiosità dello stesso. Tale fondamentale fase di analisi richiede innanzitutto tempo, una cultura finanziaria elevata e infine strumenti professionali: per questi motivi l’investitore retail, in media, salta totalmente il processo e arriva subito alla domanda più semplice e “rischiosa” di tutte: quanto rende? Tale approccio, basato sul rendimento, genera portafogli di investimento con rischio superiore a quello percepito, in quanto concentrati su una sola asset class e molte volte su un solo emittente.

Allo stesso tempo esistono delle soluzioni semplici per dare una risposta all’incertezza e all’instabilità che, come visto, caratterizzano il rendimento: diversificare, diversificare e ancora diversificare. 

Concentrare il patrimonio su un unico mercato o strumento finanziario è rischioso nella misura in cui si rimane eccessivamente legati alle sorti di quest’ultimo, nel bene e nel male. Al contrario, comporre un portafoglio diversicato consente di ridurre i rischi, dare più stabilità al patrimonio e incrementare le opportunità di rendimento.

Come evidenza la tabella dei rendimenti annui delle principali asset class globali (serie storica 2000-2015), concentrarsi su una singola attività, che sia titoli di stato o azionario paesi emergenti, ci espone a importanti picchi di volatilità dei rendimenti (e quindi del nostro patrimonio).

Tabella redimenti indici Morningstar (1) – serie storica 2000-2015

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Fonte: Morningstar Markets Observer. 2015

I livelli di diversicazione sono molteplici. Oltre a quanto appena illustrato (per asset class), li possiamo trovare all’interno di uno stesso mercato, ad esempio obbligazionario, acquistando titoli di più società (diversificazione quantitativa). Ancora, non è solo la numerosità dei titoli a portare benefici, campo settoriale, geografico e di valuta (diversicazione qualitativa) permettono altresì di abbassare il rischio.

Nel primo capitolo vedremo la diversificazione per valuta. Il primo passo è quello di considerarla come una asset class a tutti gli effetti; comprare un po’ di dollaro statunitense, come molti pensano, non significa aver ottenuto i benefici della diversificazione valutaria. Come per tutte le asset class dovremo cercare di selezionare più valute al fine di abbattere le correlazioni del nostro portafoglio. Troppo costoso? Troppo complicato?

La diversificazione valutaria è come una polizza anti furto/incendio per l’auto, per anni ne percepiamo solo il costo ma è sufficiente parcheggiare la macchina proprio in quella via prescelta dal ladro per assoporarne i sostanziosi benefici (tutela patrimonio familiare, possibilità di comprare un’altra macchina). Con le numerose riforme messe in campo dai paesi aderenti alla zona euro, la percezione del rischio valutario, oggi, è molto bassa (a ragione, confermiamo); al contrario i rendimenti della curva euro spingono e hanno spinto gli investitori a ricercare rendimento su quei paesi che presentano tassi di interesse più elevati. Le funzioni di polizza e quella di ricerca rendimento sono dunque i driver che guidano, o dovrebbero guidare, l’investimento in valuta. 

Quali valute scegliere? Primo passo selezionare quelle con un elevato grado di liquidità (maggiore efficienza per le nostre transazioni e volatilità contenuta); tra queste possiamo indicare: 

  • EUR/USD (euro / dollaro statunitense)
  • EUR/GBP (euro / sterlina britannica)
  • EUR/CAD (euro / dollaro canadese
  • EUR/YEN (euro / yen giapponese)
  • EUR/AUD (euro / dollaro australiano)
  • EUR/CHF (euro / franco svizzero).

Ci sono le valute dette core, considerate difensive che tendono ad apprezzarsi nei momenti di crisi come yen, dollaro Usa e franco svizzero, e le valute legate alle materie prime come dollaro australiano, real brasiliano, ecc..

Tra le valute considerate a maggior margine di apprezzamento troviamo quelle dei paesi emergenti che tuttavia tendono a risentire significativamente delle politiche espansive dalle relative banche centrali, soprattutto in fasi di bassa crescita o recessive come quelle attuali. La volatilità di queste ultime è molto elevata e potrebbe intaccare significativamente il capitale investito. Non cadiamo nell’errore/tentazione di sottoscrivere emissioni in valuta solo perchè queste presentano delle cedole con valori facciali a doppia cifra; l’elevato rendimento cedolare non ci mette infatti a riparo da una possibile erosione del capitale investito (come è successo, in questi ultimi anni, per investimenti in lira turca e real brasiliano).

Esiste una percentuale “ottimale” del portafoglio per l’investimento in valuta? A tale riguardo è bene tenere presente come la diversificazione valutaria, se misurata nel medio-lungo termine, possa incrementare la volatilità dell’intero portofaglio facendo venire meno proprio quei benefici di diversificazione che desideriamo ottenere. In tal senso la percentuale da dedicare all’investimento in valuta non dovrebbe mai superare la soglia del 10-15% del nostro portafoglio (ancora meno per valute paesi emergenti). Tale percentuale può essere superiore se e solo se vi è una giustificazione finanziaria personale specifica (e.g. spese personali in valuta diversa dall’euro). In caso contrario la diversificazione valutaria porta dei benefici se adottata con un orizzonte temporale medio-corto (3-6 mesi).

Strumenti per la diversificazione valutaria.

Obbligazioni estere

Se compriamo un’obbligazione denominata in euro il rendimento che riceveremo è fissato al momento dell’acquisto (sempre che l’emittente non faccia default). Se scegliamo di investire in obbligazioni in valuta, al contrario, gli interessi ed il capitale verranno convertiti in euro sulla base dell’andamento del tasso di cambio: il nostro rendimento non è quindi noto al momento dell’acquisto. A questo punto possiamo avere due effetti: la valuta di denominazione delle obbligazioni si apprezza nei confronti dell’Euro. Questo significa che il tasso di cambio scende e rappresenta un’ulteriore fonte di guadagno per l’investitore. Oltre alle cedole, infatti, è possibile ottenere un provento sul capitale investito grazie al fatto che al momento della conversione degli importi in euro (scadenza naturale del bond o vendita)  il tasso di cambio sarà favorevole; nel secondo caso la valuta di denominazione delle obbligazioni si deprezza nei confronti dell’euro. Ciò significa che il controvalore delle cedole staccate sarà inferiore e soprattutto che alla scadenza o in caso di vendita l’importo accreditato sul conto in euro potrà essere significativamente inferiore a quanto investito. Le aziende da preferire saranno titoli di stato o/e enti sovranazionali; è facile trovare emissioni della BEI (Banca Europa degli Investimenti) in valuta estera: alla data del 2015 lo stock di emissioni in valuta dalla BEI è pari a 40 miliardi di euro, con emissioni in 18 valute diverse (http://www.eib.org/attachments/fi/eib-issuance-breakdown.pdf).

Apertura conto in valuta estera

Nel caso si decidesse di isolare il rischio cambio e quindi esporsi solo alle fluttuazioni delle valute, la modalità classica è quella dell’apertura di un normale conto corrente in valuta estera presso un intermediario finanziario, nell’ambito del quale è possible operare sulla valuta prescelta.

In questo caso attenzione alla tassazione: le persone fisiche fiscalmente residenti in Italia che detengono un conto corrente in valuta estera presso un intermediario italiano sono sottoposte alle regole dei redditi diversi (art. 67 del TUIR) nel caso in cui il conto presenti, per almeno sette giorni lavorativi continuativi, una giacenza superiore a 51.645,69 euro. In tale fattispecie, infatti, ogni prelievo dal conto stesso è equiparato ad una cessione onerosa di valuta che produce plus (o minus) considerate redditi diversi (tassazione 26%).

Fondi comuni

Ci sono infine strumenti finanziari che consentono di gestire con semplicità l’investimento in valuta: i fondi comuni. Questi ultimi attraverso una gestione attiva permettono di esporsi ad una o più valute contemporaneamente. La delega rilasciata al gestore, nei limiti del prospetto sottoscritto, consentirà di efficientare il processo di investimento in valuta. I fondi da preferire saranno quelli che investono in strumenti obbligazionari, titoli di stato e/o aziende ad elevato rating, al fine di abbassare il più possibile il rischio di credito ed esporsi solo al rischio valuta.

 

(1)Indici utilizzati: Small stocks—Morningstar Small Cap Index. Large stocks—Morningstar Large Cap Index. Int’l stocks—Morningstar Developed Mkts ex-U.S. Index. Emerging stocks—Morningstar Emerging Mkts Index. Interm. govt bonds—Morningstar Interm. U.S. Govt Bond Index. Interm. corp. bonds—Morningstar Interm. Corp. Bond Index. High-yield bonds—Barclays U.S. High Yield Corp. Bond Index. Commodities—Morningstar Long-Only Commodity Index. Moderate portfolio—Morningstar Moderate Target Risk

1 Comment

  1. […] fondamentale dell’universo finanziario rimandiamo alla prima parte dell’articolo “Benefici della diversificazione, Capitolo 1: investimento in valuta estera” presente sul […]

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