Il 2 giugno torneranno a incontrarsi i membri dell’OPEC, a poco più di due mesi dal vertice di Doha che tanto aveva attirato le attenzioni di tutto il mondo. Il risultato di quel meeting è noto e alla sua conclusione alcuni commenti avevano già rimandato a quello che sta per aprirsi come un’ulteriore occasione per trovare un’intesa utile a stabilizzare il mercato petrolifero.
Tuttavia, neanche questa volta sembrano esserci premesse realistiche affinchè i principali produttori del cartello concordino una qualche forma di congelamento o taglio dell’output. Le pressioni sono oggi in realtà alleviate da un mercato che nonostante tutto è risalito, tornando a toccare la soglia dei 50$ al barile; prezzo che per molti paesi non è ancora sufficiente a sistemare i bilanci pubblici, ma che rappresenta un notevole miglioramento rispetto a quando i prezzi si trovavano ai minimi di oltre un decennio. Inoltre, diverse analisi (a partire dall’IEA) hanno rivisto al ribasso il surplus di offerta di greggio e conseguentemente ridotto i tempi stimati per tornare a una condizione di equilibrio. Tutto ciò, combinato con il calo di produzione di shale oil americano e con eventi che hanno limitato la capacità produttiva di alcuni paesi (in Canada per incendi che hanno coinvolto aree vicine ad impianti petroliferi e in Nigeria per l’esplosione di nuove violenze), ha ridato fiducia agli operatori e una spinta al rimbalzo degli ultimi mesi.
Non si pensi però che il meeting venturo sarà di poco interesse…
Si tratta infatti della prima riunione successiva alla pubblicazione del documento “Vision 2030” con cui l’Arabia Saudita si pone l’obiettivo di ridurre la propria dipendenza dal petrolio; una dichiarazione di intenti che potrebbe giustificare un sempre minore interesse del Regno nelle politiche di mantenimento dei prezzi (alti) del greggio. Con il suo programma di diversificazione delle fonti di reddito, Riyad si vuole mettere nelle condizioni di subire sempre meno le pressioni che giungono da un mercato debole (si ricordi che i sauditi hanno registrato deficit di bilancio l’anno passato e per finanziarlo stanno pensando anche ad emissioni obbligazionarie) e dai vari produttori, che spingendo per tagliare la produzione e far risalire i prezzi si contrappongono agli obiettivi (economici e politici) perseguiti dall’Arabia Saudita tramite le proprie politiche.
Sarà inoltre la prima uscita del nuovo ministro del petrolio saudita, che ha sostituito la storica figura di Ali al-Naimi (in carica per oltre 20 anni) e rappresenta il nuovo corso di Riyad. Questo sarà un banco di prova utile a capire quale sarà l’approccio dell’Arabia Saudita nelle relazioni economiche e diplomatiche sia all’interno sia al di fuori del cartello, in virtù delle tensioni in essere da mesi con l’antagonista storico Iran, che ha condizionato almeno in parte le prese di posizione del Regno nel perseguire una politica di mantenimento delle quote di mercato, a discapito delle quotazioni. Uno dei temi all’ordine del giorno sarà anche la nomina del nuovo segretario generale: l’incarico attualmente affidato al libico Abdalla El Badri è scaduto da ormai 3 anni, rinnovato fino ad oggi per la mancanza di convergenza su un nome comune. A questo punto la nomina di un nuovo segretario dovrebbe essere inevitabile e permetterà di testare divisioni e alleanze all’interno dell’OPEC, nonchè il peso dei principali azionisti, sauditi e iraniani.
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[…] Il susseguirsi di dichiarazioni indubbiamente aiuta il mercato a vivere con ottimismo l’attesa per comunicazioni più ufficiali e soprattutto confermate da documenti firmati. I toni utilizzati in particolare da sauditi e iraniani, che sono i reali contendenti delle partite all’interno dell’organizzazione, risultano diversi rispetto a qualche mese fa, anche se una prima prova di una minore tensione era stata data in occasione della nomina del nuovo segretario generale dell’OPEC (si veda anche l’articolo 2 giugno: nuovo corso all’OPEC?). […]